In occasione della Festa della Liberazione, riportiamo questa intervista a Giuseppe Matulli, presidente dell’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea, uscita su Repubblica Firenze.
Beppe Matulli “La festa ha senso se la politica recupera il suo ruolo”
Intervista al presidente dell’Istituto storico toscano della Resistenza
Domanda delle domande: come fare del 25 aprile una data non solo commemorativa (col rischio che, venendo via via meno i testimoni diretti, il ricordo si scolorisca, o addirittura si perda), ma “propulsiva”, patrimonio vivo capace di generare un nuovo impegno civile da parte delle giovani generazioni?
«Sì, ma a patto che la politica riscopra se stessa, e torni capace di grandi visioni prospettiche», dice Giuseppe Matulli, presidente dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea. «Il 25 aprile va ovviamente studiato, ricordato e celebrato, ma non gli si renderebbe merito pensando di risolvere i problemi dei figli con le risposte dei nonni».
Vale a dire?
«Intanto bisogna distinguere: storia e memoria non sono la stessa cosa. Il ricordo del passato mette in gioco l’esperienza concreta dei protagonisti, con l’inevitabile interpretazione emotiva delle vicende che li hanno coinvolti, mentre la storia si fa con i fatti, ricostruiti attraverso la memoria dei testimoni, certo, ma anche con una molteplicità di altre informazioni, che consentono di interpretarli nella loro complessità nel modo più razionale e oggettivo possibile. La rapidità dei cambiamenti, dovuti anche alle nuove tecnologie, spingono oggi a preoccuparsi innanzitutto del qui ed ora, dimenticando il passato o limitandosi a farne memoria.
Ma è un errore tragico: solo una profonda conoscenza della storia può offrire la chiave di lettura delle nuove declinazioni dei diritti violati, delle libertà individuali calpestate, delle grandi emergenze collettive, chiamando così a un impegno rinnovato. Rendendoci consapevoli, per esempio, di come nel cuore dell’Europa e del Mediterraneo siano sorti nuovi campi di concentramento per chi, non essendo nato entro certi confini territoriali, commette il “reato” di entrarci sperando in una vita migliore».
La conoscenza storica, insomma, serve a capire solo il passato, ma anche il presente, collegandoli.
«Sì, e mostrando con chiarezza che tutti i grandi temi oggi sul tappeto, immigrazioni e grande finanza, nuove tecnologie e nuove pandemie, non si risolvono più a livello nazionale, ma mondiale, e, dal punto di vista dell’Italia, esclusivamente in una dimensione europea. E che quella che un tempo era stata la lotta contro il fascismo, frutto dell’esasperazione nazionalista, deve diventare lotta contro sovranismi nuovi e fieramente antieuropei, nonché, a differenza dei nazionalismi di un tempo, transnazionali, vedi le forti similitudini fra Trump, Salvini, Orban, Le Pen, Putin. La battaglia per la libertà, oggi, è insomma una battaglia per l’Europa contro chi vuole metterla la parte».
Lo stesso scenario politico italiano è radicalmente cambiato. E dunque cosa, oggi, può ancora mobilitare energie politiche e civili come durante la Liberazione?
« Chi si batté contro il fascismo aveva come missione non di essere ” contro” il regime, ma a favore di un ideale politico, raggiungibile solo battendo il regime. Oggi i partiti non solo non hanno più le vecchie ideologie, ma nemmeno nuovi ideali, e lo stesso governo Draghi è la conferma dell’abdicazione di una politica senza più bussola di fronte alle grandi sfide. Le competenze tecniche servono eccome, ma, come ha dimostrato la lotta per la Liberazione, non bastano. Dire semplicemente ” no” alla recrudescenza globale di un ” fascismo” non tradizionale non basta, occorre dire sì a qualcos’altro, ed è appunto questo che manca: una proposta politica con una visione, centrata sui valori, di uguaglianza, di crescita solidale, applicati ai problemi di oggi. In caso contrario, il 25 aprile non mobiliterà più nuove energie». (Intervista di M.C. Carratù)
